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Il grido disperato di Giulia: Hanno assassinato mio marito – precario della Casta

Oggi piange, sotto le lenzuola di quel letto da cui non si alza mai. Sta tutto il giorno in camera, le persiane eternamente abbassate, sperando che i suoi figli non lo vedano, non si accorgano di ciò che è diventato: un cadavere vivente. In quella stanza, Leonida Maria Tucci ripercorre ogni giorno la via crucis della sua vita che si proietta come un film nell’oscurità di quella tomba. Il film inizia sempre da quella mattina in cui, è il 1994, Leonida mette piede per la prima volta nel Palazzo. E’ ancora un ragazzo pieno di aspettative, in procinto di sposare Giulia, la donna che ama, la stessa che oggi denuncia tutto, pubblicando sulla rete la storia di Leonida: “All’epoca gli affidano il compito di addetto stampa; non sa neanche cosa sia un’agenzia di stampa. Ma, ben presto, comincia ad impratichirsi e in breve tempo molti senatori cominciano rivolgersi a lui. Godeva della fiducia di molti parlamentari, lavorava dal lunedì alla domenica, 12 ore al giorno. Non si fermava mai e mi diceva: “Lasciami seminare, lasciami seminare… un giorno raccoglierò i frutti del mio lavoro. Mi definivo la “vedova bianca. Non c’erano sabati né domeniche. Niente viaggio di nozze, quando nacque la nostra prima figlia, dopo un’ora dovette scappare per correre a scrivere un comunicato. Il giorno prima del nostro matrimonio, lui stette al lavoro fino alle 22.

Leonida viene spremuto come un limone per 14 lunghi anni, giornalista sfruttato, sottopagato con contratti Co.co.co. che gli vengono rinnovati per ben 16 volte consecutive e nonostante le continue promesse di essere assunto stabilmente come giornalista, come d’altronde era successo ad altri suoi colleghi. Andava avanti nella speranza che le promesse fattegli fossero mantenute. E intanto gli anni passavano e la famiglia si formava e cresceva: si sposava, nasceva la prima figlia e dopo qualche anno il secondo. Leonida a quel punto si ribella e partono le ritorsioni: chiede l’assunzione che arriva soltanto il 1 aprile del 2006 (dopo 13 anni) e non come giornalista ma come impiegato di IV livello, sbattuto in segreteria a imbustare lettere e rispondere al telefono.

Il 19 aprile del 2007 arriva la sospensione di dieci giorni dal servizio e dallo stipendio con l’accusa infamante (poi ritirata) di andare in giro a maltrattare e picchiare le colleghe. Questo colpo è stato letale. Questa sanzione disciplinare fu messa in atto per eliminare Leonida dal posto di lavoro come dimostra la sentenza che l’ha annullata, dichiarandola illegittima e ingiusta. “Le conseguenze -racdonta la moglie Giulia- furono e sono ancora oggi devastanti. Leonida ha avuto un tracollo psicofisico, è caduto in una profonda depressione, anche per aver preso coscienza che il suo lavoro, il suo seminare, la sua costanza, la sua passione, la sua dedizione, il suo sacrificio non lo avevano portato dove aveva sperato. Leonida si è visto svanire tutto ciò per cui aveva lottato nel corso della sua vita: la dignità, la possibilità di poter provvedere egli stesso alla sua famiglia, ai suoi figli.

Il 4 maggio di quest’anno l’ultima mazzata, il dispositivo della sentenza emessa dal giudice Angela Coluccio, del Tribunale Ordinario Civile di Roma, Sezione Lavoro che stabilisce che una delle parti chiamate a rispondere, ossia il gruppo di An, non può essere più chiamata in causa: “Si tratta di un aborto -si sfoga Giulia- di un obbrobrio, di un mostro (anti)giuridico che, in sostanza, dice che una delle parti che noi abbiamo chiamato a rispondere non può farlo perché non esiste più. E che nessun altro deve essere chiamato a rispondere per gli innumerevoli atti illegali commessi ai danni di Leonida.

Eppure, oltre al gruppo parlamentare di An al Senato della Repubblica (che comunque esiste ancora), erano stati chiamati anche i rappresentanti legali del gruppo (ossia Maceratini, Nania -resosi addirittura contumace- e Matteoli); e non solo: è stato chiamato in causa anche il gruppo parlamentare del Pdl al Senato della Repubblica che ha di fatto ereditato tutte le obbligazioni nei confronti di Leonida, perché in esso è confluito il gruppo di An e il cui suo responsabil​e legale è Maurizio Gasparri. Ma nulla da fare

Dopo 15 anni di sfruttamento, oggi Leonida e la moglie vivono si stenti: “Siamo dovuti andare al Monte della Pietà ad impegnarci la fedina di fidanzamento, le crocette che avevano regalato ai bimbi per il battesimo. E le abbiamo perse. Perché non abbiamo avuto i soldi per riscattarle. Spesso non so come mettere insieme il pranzo con la cena

La moglie di Leonida ha aperto una pagina su Facebook: “La Casta ha ammazzato mio marito e tutti devono sapere.

La sentenza